Il tempo non esiste, però ha tre tempi
L’eterno presente contiene il passato e il futuro; sembra una contraddizione, ma è una contraddizione sia sostenerla che negarla.
Gli antichi greci avevano tre definizioni di tempo:
- il tempo atmosferico;
- cronos – il tempo cronologico, il coordinatore di tutto l’universo;
- kairos – il momento, l’istante in cui le cose devono accadere, quello in cui la sequenza si deve concretizzare.
La cronologia degli eventi – la storia – insegna che le stesse azioni portano agli stessi risultati. Stessi risultati, stessi vincoli, ovvero, alternative sprecate o non sfruttate. La storia insegna che non c’è maggiore potere limitante che superi quello auto imposto.
“Il tempo è un bambino che gioca, che muove le pedine; di un bambino è il regno“, questa la riflessione lasciata in eredità dall’oscuro pensatore Eraclito, filosofo greco vissuto circa 2500 anni fa. “Oscuro” poiché egli era conscio che i suoi scritti non potessero essere compresi dalla maggior parte degli uomini; tuttavia, era altrettanto conscio che se non si semina non si raccoglie, che il frutto di domani è il seme di oggi, che non c’è reale differenza tra chi ha seminato ieri e chi raccoglierà anche fra mille anni, poiché medesima è la vera fame dell’uomo: la conoscenza di se stesso.
Da qui si intuisce l’illusione sia del tempo, che delle suddivisioni attribuitegli. La coordinata successione temporale delle azioni, o accadimenti, è propria della Creazione. Il continuo divenire è l’apparente distinzione fra madre e figlia, tra causa ed effetto, tra il risultato che a sua volta è causa di un altro risultato. La ciclicità della similitudine di ogni distinto momento in un continuum armonico senza soluzione di continuità è il connubio di punti di vista laterali in distrazioni a quello centrale.
Ogni singola perla possiede il suo valore, il quale aumentata se raccolta in una collana.
Cronos e Kairos, collana e perle. “Possiedi il filo e tua sarà la collana“, sembra suggerire Eraclito, in perfetta sintonia con i Maestri spirituali. Ma si deve essere bambini, simbolicamente possedere la loro innocenza, la loro semplicità, la loro purezza.
Possedere in termini spirituali significa fare proprio, interiorizzare, non essere il posseduto. Non ha parente con il possedere del mondo oggettivo, quell’intreccio che nell’intimo non si districa fra possessore, possedere e posseduto. “Dio non è immerso nell’illusione esteriore né in quella interiore, è privo di ambedue“, ci ricorda Swami in questo PdG. Il filo non è inficiato dal valore conferito alle perle che unisce, metaforicamente la successione degli eventi. Esso è al di là e ogni attribuzione di valore – per quanto generosa – è un deprezzamento.
Cronos e Kairos, il percorso e i suoi passi. Il sommo valore che il filo unisce, relaziona e trascende. Tra la partenza e l’arrivo è il viaggio quello che – nell’immersione della sua sequenza di passi, di vedute, di progressivi cambiamenti esteriori ed interiori – insegna a trascendere ruoli e situazioni inconsistenti per essere.
Cronos, Kairos e il filo – gioco, pedine e il regno è del bambino.